venerdì 11 gennaio 2013

stivali bianchi e calze a rete

Ieri mattina si è incrociato uno scambio di battute tra due colleghe, presenti noi "maschi" a proposito di un episodio curioso: una di esse, ferma in attesa in strada verso le nove di sera, è stata avvicinata da un'auto,il cui conducente ha chiesto informazioni su una via di quella zona.
Raccontando questo fatto, la protagonista si è lasciata andare a commenti compiaciuti sulla possibilità di fraintendere il suo atteggiamento, dal momento che si trovava sul marciapiede (ovviamente) in ora serale, da sola. E di fronte all'obiezione mossa da alcuni presenti, che "comunque le puttane si riconoscono", ha sottolineato che "spesso sono vestite normali" e che "è lo stivale che fa".
Riflettevo su queste ultime affermazioni, tutte appartenenti all'immaginario indotto femminile. Bene, l'idea che il maschio pavloviano risponda allo stimolo dello stivale in maniera univoca e prevedibile si accompagna al mito della donna-femmina padrona e regolatrice dello scambio sessuale, visto sempre e comunque - al di là della eventuale transazione in denaro - in termini economici. Dare per avere: vantaggi, posizione sociale, regalìe, favori... E addirittura, la donna misconoscendo in questo modo, lasciate stare le eccezioni significative che pur ci saranno in tre miliardi di persone, la propria condizione generale di subordinazione e di sfruttamento, non si accorge di perpetuare così il proprio stato servile e "reificato" cioè ridotto a cosa e in ultima analisi a merce: esattamente come una proletaria che però non offre già la propria forza-lavoro al miglior compratore; cede la propria capacità di costruirsi un destino autonomo alla prevaricazione del potere "forte" maschile. In questo replicando inconsapevolmente la funzione tipica, per la quale la donna è considerata dal maschio: riproduttrice; di braccia (i figli proletari) di eredi (i figli dei potenti) di gerarchie e di sopraffazione. Forse ci meritiamo i governi che abbiamo. Forse si può provare a cambiare.

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