venerdì 22 febbraio 2013

Ci occorre così tanto l'approvazione degli altri. Perché?

Quando scopro di avere svolto un lavoro particolarmente "bene", in modo efficace, soprattutto in modo efficiente in funzione di agevolare sviluppi successivi, rimango male ogni volta che mi rendo conto dell'indifferenza che suscita questo. Anzi, talvolta la velocità nel produrre risultati causa negli altri la diffidenza al punto che "rifanno i conti" ... per trovare, il più delle volte, che i miei dati erano corretti.
Perché rimango così male? che cosa mi importa di avere - non dirò l'approvazione o il plauso - il riconoscimento da parte degli altri colleghi? in realtà sono persone che non stimo; persone affette da un'incorreggibile doppiezza; persone che, nonché limitare, controllare i loro difetti, li ostentano con sfida. Di loro mi ferisce soprattutto questa capacità di manipolare; e mi stupisce la loro ostinazione a non volersi confrontare - non dico "con me" - con metodi leggermente più complessi, nel senso che anzichè per esempio stampare pedissequamente tutte le pagine, anche quelle vuote, potrebbero - come me e come migliaia di altri - impostare la stampa delle sole pagine interessanti... invece nulla. Stampa -> ok e via, undici, venti, venticinque pagine per ottenerne al massimo cinque utili.
Guardano con sospetto le cose nuove (nuove? è dal 1985 che è possibile scegliere le pagine da stampare!) e quando possono le rifiutano.
L'altra sera in treno pensavo a un romanzo di N. Hawthorne. Ora dopo due giorni ho capito perché